Ciò che più mi appassiona del vino è, da sempre, la sua unicità.
Ho scoperto che la parola francese “Terroir”, che in italiano non possiede una vera e propria traduzione, starebbe ad indentificare questa originalità, potremmo quasi dire che rappresenti l’unione delle variabili del vino.
Immaginate di passeggiare tra i filari di un vigneto, ciò che vi circonda sono queste variabili:
l’uva, la terra su cui camminate, il sole, l’uomo che sta curando le piante, la temperatura e la tradizione di quel luogo.
Tutti questi elementi, all’apparenza così indipendenti, si fondono all’interno della bottiglia, creando l’affascinante liquido che siamo soliti contemplare.
In Italia, questa variabilità è estramamente ampia e complessa, essendo uno dei paesi che vanta maggiore biodiversità, molteplicità geografica ed identità culturale.
Basta pensare ai circa 400 vitigni autoctoni, oppure alle diverse viticolture eroiche di montagna o delle isole, ma anche ai numerosi laghi e vulcani, che regalano condizioni pedoclimatiche uniche, o, infine, alle diverse tradizioni vitivinicole di ogni regione.
Nonostante questa molteplicità, però, per lungo tempo il mercato enoico ci ha abituati ad approcciare al vino in maniera sterile, priva di emozione e di consapevolezza, portando ad un appiattimento dell’identità enologica ed, infine, a prodotti sempre più monotoni.
Questo livellamento ha avuto delle conseguenze disastrose sul mondo del vino, come per esempio l’abbandono di alcuni nobili mestieri, come quello del bottaio, o la dimenticanza di antiche tecniche di viticoltura, o peggio, la perdita di una moltitudine di vitigni autoctoni.
Tuttavia, negli ultimi anni, questa tendenza si è ribaltata, a favore del recupero delle tradizioni e dell’identità territoriale, ed è proprio questa la strada giusta da seguire per valorizzare l’unicità dei nostri terroirs e la bellezza del nostro panorama enoico, privilegiando pratiche come lo studio approfondito del terreno e la parcellizzazione delle vigne, o adottando tecniche sempre meno invasive, sia in vigna che in cantina.
Infine, anche chi consuma può giocare un ruolo fondamentale per far sì che questa idea si radichi sempre di più, imparando a diffidare dal vino che non evoca il pensiero di mutevolezza, che non cambia di anno in anno e che non si esprime a ritmo delle stagioni; ed iniziando a sospettare quando questo non racconta, in ogni sorso, della terra in cui è cresciuto, della brezza che lo ha rinfrescato, del sole che lo ha protetto e della mano che ha saputo attenderlo, con estrema fatica ed ammirabile pazienza.
Ilaria Giardini – Tenuta Liliana Staff