Luca Boccoli è un’istituzione nel mondo del vino e della sommellerie in Italia, ancor di più, se si parla di Roma.
Selezionatore instancabile e sempre in movimento, la sua ricerca cambia e si evolve insieme a lui da, ormai, 13 anni. Quel che è certo è che per selezionare un vino sono richiesti necessariamente: un rapporto sincero con la terra e una storia appassionante dell’ uomo che la lavora.
Per chi, come me, ha avuto la grande opportunità di lavorare insieme a lui, e quindi, di imparare moltissimo, saprà che primo fra tutti i suoi insegnamenti è, senza dubbio, l’importanza di mettersi in discussione e, quindi, di rinnovarsi sempre.
Oggi abbiamo la fortuna di averlo con noi per un’intervista esclusiva nella quale cercheremo di capire meglio il suo straordinario rapporto col vino:
Quando hai capito di esserti innamorato del vino?
E’ successo durante il mio primo viaggio in Borgogna nel 2004, anche se erano già sei anni che lavoravo nel campo del vino.
Una volta arrivato a Beaune, prendendo la Route Des Grands Crus, ho attraversato tutti i più importanti appezzamenti della Borgogna ed arrivato a Vosne-Romanée , ho finalmente compreso l’essenza e la magnificenza del vino e, quindi, di essermene perdutamente innamorato.
Cosa significa per te Degustare?
A mio parere, degustare è un piacere principalmente estetico (dal greco aisthētikós ossia «che concerne la sensazione, sensitivo»): si tratta di bere una materia e un liquido che mi dà piacere e che mi fa stare bene.
Come ci si relaziona con un Vino?
Credo sia necessaria una diversificazione, in quanto ci sono due modi diversi di bere: il primo è sans souci , ossia senza pensieri, l’altro è bere impegnandosi, perché magari si deve acquistare una bottiglia, o perché si vuole comprendere meglio un vino e la sua storia,ma, a quel punto, saper degustare diventa indispensabile.
Valgono entrambe le modalità, senza problemi, ovviamente però è il contesto a cambiare.
Quindi ci si può staccare dall’aspetto emozionale quando si degusta?
Assolutamente si, per emozionarti devi andarla a cercare l’emozione, devi saperti predisporre, anche perché, uno come me, che beve e degusta tutti i giorni, non può mica sperare di percepire ogni volta uno slancio emotivo. Sarebbe utopia.
Qual è il più grande pregio dei vini italiani?
Sicuramente la grande differenza di territorio e di vigneti, ossia la biodiversità, che è un termine assai di moda ultimamente e che non è necessariamente sinonimo di qualità, ma è di certo una gran dote.
Cosa pensi dei vini del Sud Italia?
Credo che potrebbero essere una bella scommessa!
Dall’Abruzzo in giù, penso seriamente che si possa ancora trovare qualche territorio sano e integro, dove non ci sono stati interventi chimici massicci e dove la vigna è ancora selvaggia e, quindi, l’uomo dal canto suo ci interagisce, cercando semplicemente di domarla.
Si dovrebbe, e si potrebbe, cominciare a parlare di etica di natura.
Un consiglio che daresti ad una persona che vuole iniziare ad avvicinarsi al mondo del vino e della degustazione?
Ad oggi, il primo consiglio che darei è che il vino non ha colori, bisogna, infatti, uscire dagli standard e non fermarsi al colore, altrimenti, credetemi, si perde metà della bellezza del vino.
E poi, mi piacerebbe che passasse l’idea che in vigna si fa Arte, l’arte del viticoltore, il quale si interpone al processo naturale, e trasforma l’uva in vino.
Il vino, se è naturale, va valutato di bottiglia in bottiglia, partendo proprio dallo studio di questa arte. Il punteggio, invece, è solo per i vini convenzionali, per tutti gli altri vini, parlare di numeri è spiacevolmente riduttivo.
Ilaria Giardini
per Tenuta Liliana